Scritti

Impara l'arte...


Titolo:
PROVOCAZIONE DELLA LEGGEREZZA

Tecnica:
n.d.

Dimensioni
n.d.

Note:
In occasione della Mostra di acquerelli al Museo Civico Arte Moderna di Calasetta - 2002

PROVOCAZIONE DELLA LEGGEREZZA


“Quando il saggio indica la luna approfittane per guardargli il dito” Aroldo Marinai


La breve nota di presentazione che Ermanno Leinardi mi ha dedicato riguardo alla mostra di acquerelli tenuta al Museo di Calasetta, nella quale parla di una felicità inventiva che accomuna le mie opere a quelle dei bambini quando, immuni da costrizioni familiari o scolastiche, liberano la loro fantasia e ci arricchiscono di valori apparentemente effimeri, ma proprio per questo interessanti, e dove soggiunge che “Spesso il parametro ludico è stato ritenuto non consono all’arte e, con sufficienza, si è pensato che l’artista avrebbe dovuto proporci concetti ‘alti’, magari epici o celebrativi”, mi ha fatto tornare alla mente una mai dimenticata lettura che a più riprese si riaffaccia alla memoria vivida come la prima volta. Perché agita un argomento che ritengo molto vicino alla mia sensibilità, un modo di sentire che costantemente governa il mio agire (e non solo in campo artistico), anche quando pare inabissarsi per lasciare emergere motivi più “severi” che reclamano maggiore “gravità” di pensiero.


Si tratta (parlo di quella lontana lettura) delle “Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio” di Italo Calvino, libro ormai introvabile, pubblicato a cura di Esther Calvino nel 1988. L’argomento in questione è la 1ª lezione (che è anche il primo capitolo del libro), dedicata alla “Leggerezza”.


Ora, questo tema della leggerezza (che Calvino considera un valore e non un difetto, anche se precisa di non considerare meno valide le ragioni del “peso”) è un tema sul quale più volte mi sono trovato a riflettere, ritenendo appunto la “leggerezza” consona alla mia indole, tanto che ho spesso meditato di dedicarle un’intera mostra, cosa che ho sempre rimandato, visto che comunque, credo di poterlo dire, questo aspetto è sempre presente nei miei lavori; non a caso diversi miei acquerelli sono stati intitolati “Liberate gli aquiloni”. E trovo che questo aspetto lo abbia rilevato anche Placido Cherchi, quando dice che “(…) si capisce come la finesse del pittore sia uno stile di pensiero, un passo felpato che sa avvicinare dimensioni inaccessibili, un parlare sommesso che conosce le profondità del silenzio (…)”. (da “Italo Medda, poeta della finesse”, 1995 e in “Il recupero del significato”, Ed. Zonza 2001 ). Concetto che già Calvino aveva precisato sostenendo che “esiste una leggerezza della pensosità, così come tutti sappiamo che esiste una leggerezza della frivolezza; anzi, la leggerezza pensosa può fare apparire la frivolezza come pesante e opaca”. La leggerezza – dice in un altro passo – è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici del poeta, indipendentemente dalla dottrina del filosofo che il poeta dichiara di voler seguire.


È interessante, a questo proposito, un esempio fra tanti, l’argomentazione che costruisce intorno al De rerum natura di Lucrezio, che considera il primo poema nel quale “la conoscenza del mondo diventa dissoluzione della compattezza del mondo, percezione di ciò che è infinitamente minuto e mobile e leggero”. Ora, il poeta della concretezza fisica, Lucrezio appunto, che considera la sostanza permanente e immutabile, ci mette subito sull’avviso che la realtà di questa materia è costituita da corpuscoli invisibili e che il vuoto è altrettanto concreto che un corpo solido. “La poesia dell’invisibile, la poesia delle infinite potenzialità imprevedibili – dice Calvino – nascono da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo”. Ma subito dopo aggiunge: “A questo punto dobbiamo ricordarci che l’idea del mondo come costituito d’atomi senza peso ci colpisce perché abbiamo esperienza del peso delle cose; così come non potremmo ammirare la leggerezza del linguaggio se non sapessimo ammirare anche il linguaggio dotato di peso”. Peso e leggerezza, quindi, due fili che si incrociano fra poli opposti, dicotomie che attraversano la mappa in cui tracciamo la rotta della nostra esistenza, nella vita come nell’arte: da una parte un incedere senza peso, come polvere impalpabile sospesa sulle cose, leggeri come ali di farfalla, dall’altra un modo di sentire il peso e la concretezza delle cose stesse; una dualità che sottraendoci ai condizionamenti del “nostro peso” ci permette di librarci nello spazio come corpi celesti, anche attraverso le lenti di un’autoironia che aiuti a mantenere quella giusta distanza ed evitare il pericolo di prenderci troppo sul serio.


Kandinsky non era certo il tipo d’uomo sereno, sentiva in pieno il peso del mondo, seguiva con trepidazione, e non era il solo in quel tempo, il cammino della scienza che gli sembrava vana follia: “La disintegrazione dell’atomo equivaleva per me alla disintegrazione di tutto il mondo. All’improvviso crollarono i muri più spessi. Tutto divenne incerto, vacillante, molle. Non mi sarei meravigliato se avessi visto un sasso sciogliersi nell’aria e scomparire”. Visione angosciata di un mondo che perde tragicamente la sua coesione. Eppure, alle soglie della prima guerra mondiale, mentre già stanno spegnendosi le ultime note della “Belle Epoque” (altra forma di spensierata e fiduciosa leggerezza che ha già però l’odor di morte addosso), dipinge un quadro, “Improvvisazione sognata”, che emana un’atmosfera decisamente tranquilla e serena. E allo scoppio della seconda guerra mondiale appare di nuovo un mondo di immagini favoloso e visionario, una sinfonia di colori e di forme, che pare non avvertire la tempesta che avrebbe investito l’Europa. Un decennio prima diceva:“ (…) Ed il romanticismo futuro è davvero profondo, bello, significativo, e rende felici, è un pezzo di ghiaccio in cui brucia una fiamma. Se gli uomini avvertono solo il ghiaccio, allora peggio per loro”. In un’opera del ’44 Mondrian scompone le forme in modo tale che le linee e le piccole superfici colorate non sono più quasi distinguibili e il ritmo scatenato produce un effetto tremolante, tanto che a stento sembrano trattenute dal piano della tela, pronte a volare via come tanti piccoli aquiloni. Il titolo è “Victory Boogie Woogie”, in riferimento alla fine del dramma della guerra, un’apertura alla speranza.


Io ho scelto di stare dalla parte della leggerezza, a dispetto di quante tragedie hanno segnato il nostro tempo e che tracimando sconfinano nel secolo appena iniziato. In questo senso Calvino cita un passo del “Decamerone” nel quale Boccaccio racconta l’episodio di Cavalcanti che si libera della fastidiosa presenza di un’allegra brigata della junesse dorée fiorentina con un abilissimo salto: ”Ciò che colpisce è l’immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d’un salto ‘si come colui che leggerissimo era’. Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e roboante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite”.


“Così, (…) – conclude la sua prima lezione Calvino – ci affacciamo al nuovo millennio, senza sperare di trovarci nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi. La leggerezza, per esempio, le cui virtù questa conferenza ha cercato di illustrare”. In una lettera del ’38, Klee (erano anni per lui pieni di amarezza, paura e tristezza) così comunica i pensieri espressi nella sua opera “Insula Dulcamara”, un grande paesaggio fatto di tenui passaggi dal rosa al giallo al blu, che creano l’effetto di una diafana massa nuvolosa, punteggiata da accesi fiori rossi e solcata da linee scure che rompono l’incanto con accenti drammatici: ”Non deve spaventare il fatto che non si inserisca solo ciò che è semplice, noi vogliamo sempre sperare che il difficile rimanga sempre in equilibrio con le altre forze. In tal modo la vita è sicuramente più avvincente che non semplicemente ‘à la Biedermeir’. E ognuno prenda da entrambi i piatti, a suo piacimento, il dolce e l’amaro … Con attenzione e saggezza non si subiranno grandi delusioni!”.


Anche per Munari le qualità della leggerezza possono essere considerate una sorta di tratto distintivo. Attraverso lo sguardo lieve di Calvino, la leggerezza si rivela come valore intellettuale che oltrepassa i secoli e rappresenta, anche, quel giusto grado di umorismo, arguzia elegante, quando non ironico disincanto, che si contrappone al peso di una “esatta geometria” della Ragione.


E così Munari si sottrae a questo rischio, la leggerezza diventa in lui levità di pensiero “anche nel senso illuministico di un atteggiamento colto e disinvolto, che trova nel gioco una forma di soluzioni di problemi che potevano altrimenti appesantirsi di teorizzazioni, implicazioni ideologiche o filosofiche, rispetto alle quali l’artista milanese cercava invece la via della semplicità”. (Francesco Tedeschi – La “leggerezza” di Bruno Munari – Terzoocchio) “Giocare – sostiene Emanuele Scotto (“Giochi d’artista”, Danzamusicateatro) – è scommettere sulla possibilità di ri-codificare la propria presenza nel mondo e di esplorare in-edite e dif-ferenti configurazioni esistenziali”.


Dare, o restituire, dignità al gioco e attraverso il gioco avvicinarsi alla realtà indagandola, corrisponde anche a un’idea moderna dell’arte, un’attitudine, cioè, a ridisegnare il mondo che prende forme inattese sulla scena inimitabile dello “stupore infantile”. Per apprendere da adulti a ripensarlo, a scoprire la meraviglia del “farsi delle cose” nel momento in cui si offrono allo sguardo e sgorgano dalle dune misteriose del silenzio sulla bianca cellulosa dove i colori proliferano l’uno sull’altro in acquose campiture, dal tenue all’intenso, dando vita a impensabili germinazioni che irrompono luminose sulla scena. Maria Dolores Picciau si dichiara convinta di un simile mio tratto personale:“ Sondare tra le pieghe del quotidiano e leggere secondo un desiderio ludico il consueto saranno perciò dei temi ricorrenti in tutta la sua produzione”. (M. D. Picciau, “Italo Medda, C’arte d’autore”, Zonza 2001) Un modo anche questo per imparare a passare sulla terra leggeri.


Italo Medda