Scritti

Carta Vetrata


Titolo:
CITTA’ TURISTICHE, CITTA’ D’ARTE O CITTA’ CULTURA?

Tecnica:
n.d.

Dimensioni
n.d.

Note:
da InformArt feb. ’99

CITTA’ TURISTICHE, CITTA’ D’ARTE O CITTA’ CULTURA?


Negli opuscoli turistici, nei manifesti murali, negli articoli promozionali e nelle dichiarazioni di sindaci e assessori si fa sempre più riferimento alla “vocazione turistica” della nostra isola (spesso con eccesso di enfasi) mettendo l’accento sulle tradizioni locali, d’arte e di cultura, e sulle bellezze naturali “ancora incontaminate”. E i turisti che, a fine stagione, si accalcano nei punti di imbarco, dichiarano, nelle interviste ormai di rito, di essere rimasti affascinati dalle bellezze delle coste e delle zone interne, di aver provato forti emozioni alle sfilate in costume, di essersi immersi con voluttà tra i profumi e le asprezze della barbagia, citano Oliena e Orgosolo, le marine di Dorgali e Bosa, hanno visitato gli scavi di Nora e Tharros e ora ripartono lasciando “un pezzetto di cuore”. Qualche disagio sarà presto dimenticato, l’anno prossimo torneranno. A fare che? A reimmergersi nelle bellezze naturali e incontaminate, assistere alle sfilate in costume, visitare i tanti paesini che ancora conservano quel non so che di “arcaico e preindustriale”, assaggiare i piatti tipici “fatti ancora come una volta”. Così come capita anche a noi quando, varcato il Tirreno, ci lasciamo rapire dall’atmosfera “ancora medievale” di certe rocche dell’alto Lazio o della campagna toscana e umbra.


Ma poi, quando le spiagge si svuotano, quando si consuma il rito della vacanza, restano solo le città d’arte a calamitare l’attenzione, a guidare i flussi dei turisti verso i più famosi musei e siti archeologici oppure quei luoghi dove una combinazione di fattori attiva la vivacità culturale e creativa delle comunità favorendo un processo di produzione culturale tale da mettere in atto e sviluppare forti attrazioni; il resto si rinchiude in se stesso, ammutolisce, entra in letargo fino alla prossima stagione, attende inerte e assiste alle trasformazioni che avvengono altrove. E non bastano, per quanto ci riguarda più da vicino, le iniziative che pubblico e privato mettono in campo nell’arco dell’anno, trattandosi per lo più di iniziative occasionali e contingenti, prive di validi progetti e accortezza politica atti ad aiutare la produzione di cultura e arte contemporanea. E facile intuire quanto le politiche culturali, sia nazionali che locali, siano interessate in modo quasi esclusivo alla tutela e alla promozione del patrimonio storico e artistico del passato. Sono cioè prevalentemente orientate a valorizzare l’idea di “Città d’arte”, e le città d’arte, dal canto loro, sono interessate a mostrare se stesse e proporre la loro immagine. E poiché i primi destinatari di questi messaggi sono i turisti – e poi gli amanti di antichità e i visitatori con interessi culturali – la valorizzazione di tali beni tende prevalentemente a favorire un’amplificazione di immagine ad uso prevalente dell’industria turistica e alberghiera, del commercio e della promozione dell’artigianato locale (anche se da ciò trae notevole beneficio pure l’intero paese con la promozione all’estero della sua immagine), investendo quasi tutte le energie nella tutela e promozione dei “luoghi della memoria” e molto meno in un progetto di città di cultura orientata a sostenere la produzione contemporanea di beni culturali e a dotarsi di strumenti atti a distribuire tali servizi.


In un simile contesto, pertanto, il protagonista della città di cultura non è il turista ma l’operatore culturale, l’artista di oggi , il regista, il creatore di musica, di quadri, lo scrittore, l’architetto e l’urbanista, il filosofo e lo scienziato, l’intellettuale di oggi dunque, ovvero gli operai specializzati in cultura, l’art promoter e tutti quegli intermediari che operano nella produzione di cultura, oltre alle infrastrutture già presenti nel territorio – teatri, musei, conservatori musicali, gallerie pubbliche e private, associazioni culturali, fondazioni, gli studi degli artisti, le scuole d’arte e le accademie, i collezionisti (spesso riuniti in anch’essi in associazioni, utili opportunità di scambio di informazioni e di movimentazione del mercato dell’arte), le università, i dipartimenti, i luoghi di convegno e le biblioteche – capaci di coinvolgere i cittadini e attrarre un vasto pubblico (e di conseguenza anche i turisti) , e in grado di consentire un ambiente favorevole alla creatività e un migliore stile di vita, compito primario della città di cultura.


Lo scopo di una città di cultura è, quindi, la produzione di cultura e arte contemporanea. Un valore aggiunto rispetto all’idea statica di città d’arte, in quanto può così potenziare il suo ruolo propulsivo di centro d’arte e di cultura e rafforzare la sua immagine. – “ (…) Una cultura non può vivere unicamente del suo passato, deve guardare alla contemporaneità, al momento creativo. La società che riconosce questi bisogni si dota di strutture pubbliche che aiutino la produzione di cultura, che valorizzino i giovani artisti in campo nazionale e internazionale, che orientino il collezionismo verso un ruolo sociale aperto e che allarghino il pubblico degli appassionati e degli amanti dell’arte “…)”. (Walter Santagata, Simbolo e merce, Il Mulino 1998).


Il gap è culturale e politico nello stesso tempo. L’innovazione, la contemporaneità si scontrano con interessi ormai consolidati. I lettori di libri, gli appassionati di musica o di teatro, i collezionisti d’arte, ma anche il pubblico “meno esperto”, possiedono strumenti, seppure differenziati, adatti a “comprendere e consumare cultura” che hanno accumulato negli anni (con impegno e passione in molti casi, in modo passivo ma non meno determinato in altri), un investimento informativo difficilmente riconvertibile. Modificare questo cumulo di convinzioni è sicuramente faticoso e costoso e se consideriamo l’insidia dell’assuefazione al già dato e al consueto è facile capire come molti si tengano a prudente distanza dall’arte contemporanea. – “Per essi la vera arte è quella “imparata” a scuola, quella storicizzata e accessibile grazie a un apparato critico che posseggono e usano ormai abitualmente …… Continuiamo a guardare alla cultura del passato perché amiamo le nostre radici, perché essa è il fondamento stesso dei nostri valori comunitari, ma dobbiamo rilevare che le forti inerzie al cambiamento nel campo delle attività artistiche hanno radici strutturali” - (Santagata, ibidem).


Dal canto suo, la politica, salvo talune eccezioni, ha agito con forte discrezionalità nella selezione e acquisizione di opere d’arte contemporanea, quando non ne ha fatto addirittura un uso “nepotistico”, soddisfacendo le preferenze di qualche potere politico o operando una indiscriminata sovvenzione a pioggia, se non una vera e propria lottizzazione. Col risultato di un discutibile uso del denaro pubblico, seppure è da condividere l’idea che un’arte ritenuta “elitaria” non possa sopravvivere senza il contributo della collettività. Almeno fino a quando non si potranno creare quelle opportunità e interessi tali da poter avvicinare l’arte contemporanea a un pubblico più vasto (specie giovane) e nel contempo il pubblico e i collezionisti all’arte contemporanea. Favorendo magari una valida collaborazione (come ormai capita anche all’estero) fra pubblico e privato tale da creare sinergie che possano rivelarsi valide risorse strategiche. Uno strumento valido potrebbe essere la “legge del 2%”, il più delle volte disattesa e che andrebbe ridefinita anche con lo strumento dei concorsi internazionali in modo da creare più valide occasioni e stabilire un rapporto efficace tra arte e città, arte e comunità. Il risultato è però che, mancando una lucidità politica e una vera volontà a sostegno e promozione dell’arte contemporanea italiana, la presenza dei nostri artisti, per esempio a Kassel ma anche alla Biennale di Venezia e in altre vetrine internazionali, è stata esigua e di scarso rilievo. Si tratta allora di far emergere le ragioni e proporre alternative. Intento c’è da dire che l’Italia era, fino a non molto tempo fa, totalmente priva di una rete museale di arte contemporanea e ancora oggi mancano quasi del tutto centri d’arte non museali dove gli artisti, specie giovani, possano avere una meritata visibilità e quindi uscire dall’isolamento. In questi ultimi tempi sono certamente aumentate l’attenzione e la sensibilità, e i segni sono palpabili, e si è alzato il tono del dibattito sulle politiche per l’arte. Si tratta però di puntualizzare strade e strategie anche in rapporto alle politiche di sviluppo economico, non ultima quella di creare nuova occupazione nel settore dei Beni Culturali, attraverso un intelligente utilizzo delle risorse culturali e un mirato utilizzo dei flussi turistici ma non solo. Non a caso di questo si è parlato recentemente in numerosi convegni promossi da vari enti locali italiani, centrati sul tema di un nuovo sviluppo turistico e dello sfruttamento intelligente dei beni culturali. Gli ultimi convegni che si sono tenuti al Palazzo Viceregio di Cagliari ma anche in altre località dell’isola, seppure con l’obiettivo ristretto di individuare possibilità di estensione della stagione turistica a tutto l’arco dell’anno, hanno individuato nella centralità dei beni culturali e ambientali il volano più idoneo per il soddisfacimento di tali obiettivi. Seppure qualificati per la presenza di esperti molto competenti nel settore turistico, questi convegni non hanno comunque aggiunto molto al dibattito che ci interessa. Ancora vecchi modi di pensare per affrontare problemi nuovi. Solo qualche voce isolata ha sottolineato che più coerentemente bisognerebbe pensare a forme differenti di turismo (e questo è già un passo avanti) e che il turismo “culturale”, per quanto ancora richiesto nelle sue forme più tradizionale, è ancora “da inventare” nella sua forma più moderna di turismo culturale al quale può dare risposta non più la città d’arte – nella statica definizione che ne abbiamo dato – ma solo una città di cultura. Tuttavia in campo nazionale le istituzioni pare abbiano già avviato rapporti di dialogo anche con collezionisti privati, molti dei quali sembrano aver abbandonato la “vocazione” prevalentemente orientata verso la businnes art per una maggior disponibilità ad inserirsi in un sistema più articolato di collaborazione, cosa che lascia sperare in una maggior consapevolezza del ruolo sociale del collezionismo. Si rivelano attivissime molte associazioni che affiancano l’impegno di promozione e valorizzazione avviato da vari assessorati alla cultura, anche se alle numerose offerte non sembra corrispondere altrettanto interesse verso l’arte contemporanea da parte delle comunità. Si tratta quindi di fare maggiori sforzi unificati che diano forza e legittimità, anche internazionale, alle tante iniziative locali, che attraggano soprattutto nuovi appassionati, visitatori, collezionisti.


Le possibilità non sono poche, tante già sperimentate all’estero: centri d’arte non museali, immaginati come puri contenitori per esposizioni di brevi periodi ma dotati anche di servizi accessori (art-shop, biblio-videoteche, atelier per stages di artisti, sale conferenze) in grado di presentare in modo continuativo e a rotazione raccolte di musei cittadini, organizzare la raccolta e diffusione di informazioni, programmare la collaborazione di soggetti che hanno agito in modo separato o in antagonismo e con inutile spreco di energie. Vi sono altre numerose e possibili strade che non citiamo per brevità di discorso, non ultima quella di stimolare la richiesta di soddisfazioni culturali, oggi non sufficientemente indotte, se pensiamo che il mondo giovanile potrebbe essere il futuro bacini di fruitori e collezionisti.


Diversamente il rischio potrebbe essere, così come stanno le cose, che tra pochi anni la memoria storica della più recente cultura figurativa – per quanto riguarda Cagliari mi pare stia già avvenendo – mostrerà il volto del vuoto totale; non aver conservato nelle collezioni pubbliche le vicende artistiche contemporanee (anche a livello locale) equivale all’aver cancellato interi decenni di testimonianze artistiche.